Il fatto. Una società attiva nel commercio on-line di integratori alimentari, per la promozione dei propri prodotti sui social media, si rivolge ad alcuni influencers, sportivi o comunque personaggi legati al mondo dello sport, attribuendo loro un codice sconto personalizzato da condividere con i propri followers.
Secondo le previsioni dei contratti, stipulati a tempo indeterminato, gli influencers hanno diritto ad un compenso fisso per la pubblicazione di contenuti promozionali, nonché ad un compenso percentuale sul valore dell’acquisto ogni qualvolta il loro codice sconto viene utilizzato da un consumatore per acquistare i prodotti della società.
L’ENASARCO, ente di previdenza degli agenti e rappresentanti di commercio, dispone un accertamento ispettivo, all’esito del quale stabilisce che i contratti di “influencer marketing”, conclusi tra la società e gli influencers, sono riconducibili al contratto di agenzia disciplinato dall’art. 1672 c.c. (con il quale “una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”) e che, quindi, sono dovuti dalla società i relativi contributi previdenziali e le sanzioni per il mancato pagamento, nella misura di oltre 70mila euro.
Il giudizio. La società contesta le conclusioni dell’ENASARCO e fa ricorso al Tribunale di Roma, sostenendo, tra l’altro, che il testo del contratto utilizzato, il quale “rimanda purtroppo alla forma del contratto di agenzia”, è un “fac-simile scaricato da internet” di cui ha solo “cambiato il titolo” e personalizzato con riferimento al diverso genere di attività, ma che “quanto in esso riportato non coincide con l’effettiva prestazione di consulenza, che è sempre stata retribuita secondo un fisso mensile, senza alcun riferimento a una percentuale riferibile ad attività promozionali di alcun tipo”.
L’ENASARCO, per parte sua, chiarisce che, a differenza del testimonial, il quale si limita a consentire di associare la propria immagine e/o il proprio nome ad un brand, ricevendo per questo un compenso fisso, in questo caso, gli influencers svolgono una vera e propria attività promozionale di vendita, ottenendo un compenso per gli ordini procurati ed andati buon fine, esattamente come previsto dal contratto di agenzia
In tal senso, l’ente precisa che, nei contratti in questione, si parla espressamente di “influencer”, a cui è associato “un codice sconto personalizzato, raggiungibile unicamente attraverso le sue pagine social”, in modo tale che “ogni volta che un acquisto avviene attraverso quel codice, il relativo ordine viene contrattualmente considerato come «direttamente procurato» dall’influencer”.
La decisione. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2615/2024 del 4 marzo 2024 (che si può leggere di seguito a questa nota), osserva innanzitutto che “Web e social network si configurano, oggi, come nuovo ed ulteriore strumento per fare promozione attraverso gli influencers”, definiti come figure professionali che “diventano strumento di comunicazione del brand, influenzando (promuovendo) le scelte di acquisto” dei propri followers.
Nel caso specifico, il Tribunale ritiene che i contratti conclusi dalla società con gli influencers siano effettivamente riconducibili al rapporto di agenzia, in quanto:
- lo scopo di tali contratti “non è di mera propaganda, ma è quello di vendere i prodotti promossi direttamente ai followers” di ciascun influencer, come dimostrato dal fatto che, attraverso il meccanismo del codice sconto personalizzato, “ogni volta che un acquisto viene effettuato attraverso quel codice, il relativo ordine viene contrattualmente considerato come procurato dall’influencer”;
- la “zona determinata” dove deve svolgersi l’attività promozionale, richiesta dall’art. 1672 c.c. perché possa parlarsi di contratto di agenzia, “ben può essere intesa come comunità dei followers dell’influencer che acquistano i prodotti della società mediante il codice sconto personalizzato”;
- il vincolo di stabilità, pure richiesto dall’art. 1672 c.c., è dimostrato dalla “durata del contratto, stipulato a tempo indeterminato, nell’ottica quindi di un rapporto stabile e predeterminato”.
Le conseguenze. Per effetto di tale decisione, la società è stata condannata a pagare all’ENASARCO la complessiva somma di 90mila 590 Euro, “di cui € 52.820,69 a titolo di contributi omessi al Fondo di Previdenza, € 28.185,38 a titolo di sanzioni”, oltre interessi di mora. A cui si aggiungono le spese di lite, che la stessa società deve rimborsare all’ENASARCO, per un ammontare di 4mila 800 Euro, oltre l’IVA e gli oneri previdenziali.
Il commento. La decisione del Tribunale si fonda, sostanzialmente, sul fatto che, in base ai contratti, il corrispettivo di ciascun influencer è collegato, in parte, al valore degli acquisti di prodotti della società effettuati dai propri followers: prevedendo che all’influencer spetti una percentuale di tale valore, quella parte di corrispettivo risulta essere una “provvigione” che viene pagata dalla società mandante in favore del soggetto “agente” che, con la sua attività, ha promosso i prodotti ed ottenuto la conclusione di un “affare”. Il che, effettivamente, porta alla conclusione che il rapporto società/influencer sia riconducibile al contratto di agenzia.
Diversamente, qualora all’influencer venisse pagato un importo fisso quale corrispettivo della creazione di contenuti volti a pubblicizzare i prodotti, il rapporto contrattuale, per ammissione della stessa ENASARCO, sarebbe diverso: poiché l’ente usa il termine “testimonial”, che associa la sua immagine e/o il suo nome ad un brand, si dovrebbe, in quel caso, parlare di advertising o sponsorizzazione, ovvero, se si vuole trovare un tipo di contratto previsto dal codice civile, di prestazione di opera intellettuale.
In ogni caso, non sarebbe un rapporto riconducibile al contratto di agenzia e, quindi, non sarebbe dovuto il pagamento dei relativi contributi previdenziali.
Questo, d’altra parte, non esclude la possibilità di associare un codice personalizzato all’influencer, ma solo per poterne valutare l’efficacia dell’attività sulle vendite, in vista di decidere sul se e a quali condizioni rinnovare il contratto, a tempo determinato, senza però che il corrispettivo, nel corso del rapporto, possa esserne in qualche modo, anche solo indirettamente, determinato.
Come fare tutto ciò?
Certo, non rivolgendosi all’avvocato internet, ossia scaricando da un qualche sito web un modello contrattuale che, come è accaduto nel caso in commento, nell’immediato, ha probabilmente consentito di risparmiare i costi di una consulenza legale ma che, successivamente, ha portato a conseguenze giudiziarie ed economiche fortemente negative per la società che si è rivolta agli influencers.
Meglio, invece, affidarsi a professionisti esperti, i quali siano in grado di elaborare strumenti contrattuali che, oltre a consentire il perseguimento degli obiettivi commerciali prefissati, possano anche porre al riparo dal rischio di un forte impatto economico negativo per effetto di indesiderati oneri previdenziali (come in questo caso) o fiscali.Anche nel mondo dei contratti, infatti, vale il motto “prevenire è meglio che curare”.